Siamo due viaggiatori curiosi, conosciuti al mondo come Marco e Irene
Stano ma vero?
Viaggiare per il mondo è bello perché si scoprono cose nuove e luoghi e persone e… tante cose strane che qualche volta ci confondono e ci pongono la domanda “ma sarà vero?”.
E’ il frutto di un albero (Carica papaya) noto anche come albero dei meloni. E’ di forma simile alla pera, con buccia liscia e sottile, di colore giallo-arancione se maturo e verde se acerbo. E’ caratterizzata da una polpa succosa dal sapore dolce e aromatico . E’ nota per il suo elevato potere antiossidante che viene associato a una diminuzione del rischio di cancro della cervice uterina e del colon. Oggi sappiamo che le azioni benefiche sono dovute al fatto che la papaya contiene un enzima, la papaina. La papaya è originaria delle aree tropicali del continente americano e il suo nome trova origine da due fonemi: “Papa” e “Ya“. Nell’antico dialetto locale probabilmente “Ya” significava sì e “Pap(p)a” una cosa edibile. Ciò induce a pensare che la papaya fosse il principale cibo delle antiche popolazioni mesoamericane che esclamavano “c’è da mangiare!” gridando proprio “papa-ya!” (trad. mod.: “Sì, c’è la pappa!”). Con assonanze evidenti con vocaboli simili anche nelle nostre culture europee dove si ritrova con frequenza “”pappa” e “ya” con i significati di cui sopra. Nel 2006 è stato avviato un progetto per verificare la diffusione per contaminazione di oggetti semantici estranei alla cultura locale. In occasione di ogni brindisi pubblico, e cominciando così ogni pranzo, i partecipanti al viaggio hanno brindato levando i calici ed esclamando in coro “sprot” – il rituale saluto dell’homo selvaticus valtellinese – coinvolgendo in questo rito gli autoctoni presenti. L’obiettivo dell’esperimento è valutare la diffusione nel tempo e nello spazio di questa pratica. I viaggiatori che si trovano a viaggiare in Asia Centrale possono collaborare all’esperimento sia inviando una informativa a questo sito qualora rilevassero l’utilizzo del saluto “sprot” durante un brindisi sia promuovendo l’esperimento in altre aree e dando informazione a questo sito. PS l’intercalare “sprot” deriva da un uso colloquiale del nome del pesciolino ”Sprattus’ per indicare abbondanza
La lunga e nuova strada che porta da Nouakchott è punteggiata di ristorantini e da punti di vendita di latte di cammella soprattutto a Nord verso Nouadhibou. Per i suoi estimatori, il latte di cammella è vero nettare. Leggermente più salato del latte di mucca, ha un alto valore nutritivo, dopotutto madre natura l’ha creato per aiutare i piccoli di cammello a sopravvivere in alcune delle zone più difficili del pianeta, i deserti e le steppe. Questo probabilmente spiega anche perché sia tre volte più ricco di vitamina C di quello di mucca. Inoltre, per una strana legge del contrappasso, i genitori dei bambini mauri usano in abbondanza il latte di cammella così i loro figli, da grandi, avranno la schiena dritta e un portamento fiero… le gobbe restano infatti ai cammelli.
Lozang Gyatso, il quinto Dalai Lama, iniziò la costruzione del palazzo del Potala nel 1645. In quell’epoca era presente a Lhasa un avventuroso missionario di origini bergamasco-bresciane, in quale era tenuto in grande considerazione dalla gente e dallo stesso Dalai Lama. Quest’ultimo si rivolse a lui per avere consiglio su dove costruire il nuovo palazzo. Il buon frate allora esclamò di botto: “Pota là!” indicando una collinetta. Tanto era il credito che godeva che, in suo onore, il palazzo si chiamò Pota-la
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