Ukraina, in bus verso la guerra!
30 marzo 2023 – 5 aprile 2023
Questo viaggio in Ukraina si inserisce in una attività di formazione richiesta a ITSTIME dal comando dello State Service of Special Communication and Information Protection of Ukraine (SSSCIPU), la formazione dell’esercito ucraino che si occupa di cyberwafare.
Nell’ambito delle attività di ricerca svolte, la guerra russo/ucraina è particolarmente interessante in quanto guerra cognitiva, in cui la dimensione informativa, comunicativa digitale e cibernetica è importante: a questi temi, con alcuni approfondimenti, ha dedicato particolare attenzione ITSTIME, al cui sito si rimanda, soprattutto rispetto alle strategie comunicative e ai nuovi attori emergenti nel conflitto, tra questi Azov e Wagner.
Alla fine di questa nota alcuni spunti pubblicati sul web dal gruppo di ricerca.
Il viaggio verso Kiev si è svolto senza intoppi, in aereo fino a Varsavia, poi con autobus di linea da Varsavia a Kiev: nel complesso circa ventisei ore di viaggio, di cui una dozzina di bus.
Siamo gli unici “stranieri” in autobus, la maggior parte dei passeggeri sono donne e giovani che tornano a casa, per rivedere mariti e compagni, il più delle volte chiamati a servire nell’esercito.
Il passaggio alla frontiera, in andata, è di un paio d’ore: “interessiamo poco”, da una parte o dall’altra del confine.
Al contrario, al rientro (da Ukraina a Polonia) ci vogliono circa cinque ore perché il bagaglio è tutto meticolosamente controllato e moltissimi generei alimentari, non permessi dalla regolamentazione europea, vengono sequestrati: in genere si tratta di torte o salumi di provenienza casalinga, che cercano di esportare un po’ di gusto di casa, ma che invece si fermano sui banchi degli ispettori.
Il rallentamento al controllo è anche dovuto al fatto che non siamo soli: nella coda di bus in rientro siamo il dodicesimo, che passa buona parte della notte in attesa. Accanto a noi, sia in entrata che in uscita, ma su corsie diverse, tante e dedicate, si infilano centinaia di camion che descrivono una teoria ininterrotta di chilometri in uscita dalla Polonia.
Il passaggio del confine nelle impressioni del momento
Arriviamo al controllo di confine polacco all’una. Tre ore e mezza da Varsavia, con brevissima fermata a Lublino stazione bus, per una strada sempre vuota: nessuna automobile, qualche camion e bus provenienti dell’Ucraina. A circa cinque chilometri dal controllo affianchiamo e superiamo una colonna di centinaia di camion in attesa di varcare il confine. All’una anche noi abbiamo come esclusivo panorama anteriore il posteriore di un altro bus. E comincia l’attesa. Tutti i passeggeri dormono. Attorno, il buio è (poco) rischiarato dai neon ma cinquanta metri avanti a noi risplende una luminaria intermittente, blu e rossa, che raccomanda di spegnere il motore al controllo. Mi immagino che un balzo in avanti di venti metri ogni quarto d’ora significhi un bus precedente che se ne va, aprendo la strada al nostro.
ore 1,00
Poco avanti a noi il Bug fa da confine naturale tra Polonia e Ucraina: un nome breve per un fiume più lungo della Vistola di qualche centinaio di chilometri, ma di portata inferiore. Portata che è invece simile a quella del Narew, che incrocia le acque del Bug per entrare poco dopo nella Vistola. Da queste parti sembra che ci si mettano anche i fiumi a questionare: infatti, a seconda che si consideri la lunghezza, la portata, la prossimità al mare si può argomentare su chi sia affluente di chi. Oggi la sequenza comunque consolidata è quella del Bug nel Narew che si infila nella Vistola. Storia di un trenino d’acqua, per il nostro bus lumacamente torpedone sotto la leggera pioggia del confine.
ore 1,30
Alle due e zero quattro davanti a noi solo la sbarra per l’accesso al controllo e i grandi avvisi luminescenti, pulsanti rosso e blu, che intimano lo stop e qualcosa d’altro, incomprensibile.
ore 2,04
Alle due e venti abbiamo superato la sbarra. Una signora in uniforme della guardia di frontiera sale a bordo e ritira tutti i passaporti. Che ci vengono riconsegnati alle due e cinquanta.
Questa parte del confine è efficiente: quattro file parallele di camion che sono sempre in movimento e una di autobus passeggeri, con controlli apparentemente più lunghi di quelli merci. Lasciamo la Polonia in circa cento dieci minuti tra attesa e controllo. In fin dei conti, tempi lunghi tanto li avevo già provati cinquanta anni fa, alla frontiera italo-svizzera di Ponte Chiasso, per andare a fare la spesa al Migros. Poi, peggiori, d’altre parti.
ore 2,20
Alle tre si passa il Bug. Improvvisamente sono dunque le quattro. Alle quattro e quaranta siamo gli unici quattro ad avere un timbro ucraino sul passaporto. Agli altri, anzi altre perché sono solo donne con qualche bambino, non serve perché ucraine. Ora restano circa cinquecento chilometri per Kiev.
ore 3,00
Da qui il buio è nero solido, nei pressi del confine poche luci delle pompe di benzina e nessuna luce oltre il debole cono dei fari del bus sulla strada.
Poi il chiarore e la nebbia su grandi distese di campi.
Un pessimo caffè caldo tra le più normali tentazioni del ristoro di una pompa di benzina: per ora la guerra si è vista con due mimetiche per un espresso.
ore 4,00
L’accoglienza ucraina è buia, notturna: lasciate le luci dei controlli la campagna è nascosta nelle tenebre, le strade non sono illuminate ma se vi aspettaste qualcosa di più drammaticamente eclatante, “da guerra televisiva”, restereste delusi. E comunque, dopo non molto le luci tornano, e anche colorate, nelle stazioni di servizio che offrono di tutto, anche generi di necessità primari, sullo stile A1 per Roma, con spesso uguali file alle casse, come in A1 in un week end da bollino rosso.
La strada per Kiev procede pertanto comoda, sempre buona e la stessa capitale ci si è presenta la mattina come indaffarata, piena di traffico, all’arrivo del bus, quando le famiglie che si riuniscono si abbracciano, come ogni famiglia quando uno aspetta e un altro arriva: solo che qui, in genere, chi aspetta veste una mimetica ed è armato.
In ogni caso, cominciamo a prendere le misure rispetto alla guerra che si racconta e alla guerra che si vive: nel mixaggio comunicativo tutti i piani si mischiano e l’est del conflitto si confonde con l’ovest dove si va a teatro: così è per tutte le guerre, dove la distanza tra realtà e narrazione è sempre parte della strategia dei belligeranti.
Siamo comunque fortunati, i primi giorni di aprile 2023 sono tranquilli: l’app che segnala l’arrivo di droni o missili è in genere silente, la voce di Sky Walker che invita a correre nei rifugi la sentiamo poco e, le informazioni raccolte in quel periodo, segnalano soprattutto attacchi che acquisiscono target strategici, generalmente infrastrutture della città.
Non sempre è così, la guerra va a ondate e si sposta con una certa rapidità da una parte all’altra del Paese. Quando non accadde, Kiev torna a essere una città ricca (i negozi e i super mercati sono pieni di merci), vitale (concerti e teatri funzionano regolarmente), attiva (ottimi ristoranti sempre pieni).
Forse una volta, in quelle guerre tradizionali del passato non era così, ma le guerre sono cambiate soprattutto nel modo in cui si manifestano platealmente, di certo non hanno cambiato la quantità di dolore che impongono agli uomini.
Durante la nostra permanenza abbiamo occasione di incontrare numerosi alti ufficiali, impegnati nei vari comparti dell’esercito ucraino: tanti di loro sono anche colleghi universitari, professori richiamati che hanno assunto ruoli di responsabilità di governo nell’emergenza.
Devo dire che non sempre posso apprezzare quella unità di visione monolitica che ci si attende e neppure la condivisione delle ragioni che motivano ciascuno: questo fa anche parte di una popolazione che è comunque frammentata in tante storie, nuove o antiche, che caratterizzano legami molto diversi tra le famiglie. Ma ogni divergenza (che poi neppure è divergenza, è solo “differenza”) è superata sia per il rispetto che ciascuno porta alla catena di comando e controllo in cui è inserito, sia per la risposta indiscutibile, non negoziabile e con un solo esito atteso che tutti sono chiamati a dare per l’Ukraina. Certo, questo è adesso, in guerra. Il dopo potrebbe essere un’altra storia.
Di spicco, per tante ragioni, è il ruolo della Chiesa che ha ospita tanti profughi nelle parrocchie, che si attiva per organizzare la logistica degli aiuti e che prende anche posizione.
Abbiamo incontrato il Nunzio Apostolico, l’Arcivescovo cattolico Visvaldas Kulbokas, un monsignore lettone alto due metri che, quando prendiamo il te nella residenza, mi dice che continuano ad arrivare “simpatiche delegazioni per la pace…ma abbiamo bisogno di armi qui”.
Tra i vari incontri, collaterali ai nostri impegni, quelli con i rappresentanti europei, Cristina Macchiusi Senior Prosecution Adviser presso EUAM Ukraina, e con la nostra rappresentanza nazionale, l’Ambasciatore Pier Francesco Zazo, che ci accoglie alla residenza. Al solito, ci sentiamo a casa: l’attenzione dell’Italia ai suoi cittadini, soprattutto in contesti che possono essere difficili, tendiamo spesso a dipingerla un po’ “tafazzianamente”. Al contrario, l’italianità incontrata a Kiev è stata di supporto, conforto e confronto come ci si poteva aspettare e sperare.
Torniamo a casa, noi di Itstime eravamo in quattro, con una preziosa esperienza professionale e umana, due dimensioni che non separiamo mai anche nei contesti di lavoro che ci portano per il mondo.
Una nota finale: a seguito della nostra missione a Kiev, ITSTIME è stato posto sotto attenzione da parte di una agenzia russa, che ha dedicato al nostro team un lungo paper dal titolo “Who’s who nella comunità OSINT italiana” (КТО ЕСТЬ КТО – В ИТАЛЬЯНСКОМ – OSINT – СООБЩЕСТВЕ) per il corso “Intelligence Analysis of Information” all’Università di Mosca.