Kurdistan iraqeno, possibile futuro – 2003

Tra le numerose interviste fatte durante la missione, quelle più significative sono state raccolte in colloqui privati con Barham Salih primo ministro del PUK; Narmin Othman, ex ministro dell’istruzione; Sherko Bekas, ex ministro della cultura e noto poeta; Hikmat Mohammad Karim “Baxtiar”, responsabile dell’unione sindacale kurda; Rizgar Ali, responsabile del PUK a Kirkuk e con due terroristi di Ansar al Islam catturati dai peshmerga kurdi.

  • Barham Salih propone il modello dell’autogoverno kurdo degli ultimi dieci anni come un riferimento allo sviluppo dell’Iraq, nel quadro del diritto di autodeterminazione che deve essere riconosciuto a tutti i popoli:

“il popolo Kurdo, come ogni altro popolo, ha il diritto della propria autodeterminazione compreso il diritto di erigere uno Stato Kurdo. Questo è un diritto fondamentale, ma io sono in una posizione di responsabilità e spero di esercitare responsabilmente i miei compiti. Io credo che i kurdi irakeni abbiano una opportunità di collaborare con gli iraqeni democratici, gli arabi democratici, i turcmeni democratici, gli assiri democratici, per sviluppare un sistema di governo valido per tutti e fondato sulla libertà. Per questo richiedo uno stato federale democratico per l’Iraq.”

E con ancora più chiarezza il Primo Ministro descrive il solo futuro dell’Iraq compatibile con un Kurdistan autonomo: un Iraq federale democratico, non fondamentalista e non pan-arabista:

“se l’Iraq diventa una dittatura.

Se l’Iraq diventa uno stato fondamentalista islamico.

Se l’Iraq non diventa una democrazia federale in cui io, come kurdo, non posso proclamare la mia identità o non essere considerato un partner a pieni diritti di Baghdad…. .

Se queste condizioni non possono essere ottenute,

se l’élite di Baghdad, l’élite araba, insiste nel mantenere lo statu quo del passato, dunque, nazionalismo arabo e un governo centralizzato,

allora io non ho nulla a che fare con tale stato iraqeno.

Allora io dirò che sono gli arabi a non voler vivere con me.” (Barham Salih).

Quando mi parla Barham Salih si definisce realista e concreto. E a conferma dice che “la mia visione, nella situazione attuale, nella situazione realistica attuale del Medio Oriente, è che quest’ultima soluzione (nota: Kurdistan quale stato indipendente dall’Iraq) è molto difficile da ottenere. E anche se avessimo uno stato kurdo questo sarebbe circondato da vicini potenti che ci renderebbero assai difficile uno sviluppo.”

  • I rapporti tradizionalmente non facili con i grandi vicini preoccupano. In particolare quelli con la Turchia, anche se lo spettro del fondamentalismo sembrerebbe poter fare più paura. Hikmat Mohammad Karim “Baxtiar”, responsabile dell’unione sindacale kurda, esordisce chiarendo che “se l’Iraq diventerà un paese democratico e civile, senza dubbio il Kurdistan ne sarà una parte molto importante e contribuirà alla nascita di questa democrazia, sia in ambito economico che politico.

Se però l’Iraq non diventasse un sistema democratico, ma, al contrario, favorisse l’ascesa al potere di un sistema fondamentalista, allora è molto probabile che il Kurdistan deciderà di separarsi dal resto del paese. (…..) l’ostilità nei confronti dell’indipendenza kurda non è finita. La Turchia e l’Iran, e altri paesi che non saranno d’accordo con la separazione del Kurdistan, non l’accetteranno

Però è anche vero che per un paese come la Turchia la nascita di una nazione fondamentalista in Iraq è più pericolosa di un Kurdistan indipendente”. Di fatto, è probabile che la domanda di autonomia kurda vada ad aprire un fronte regionale che causerà nuovi problemi agli alleati, almeno sul piano politico. Perché quell’America, debitrice del supporto offerto dai kurdi fin dall’inizio dell’intervento,

“dovrà necessariamente scegliere tra una nazione fondamentalista irachena e un governo laico e democratico in Kurdistan” (Baxtiar)

Dunque, la strada è aperta ma le condizioni poste sono tanto evidenti quanto non di sicura realizzazione. Infatti, Narmin Othman ex ministro dell’istruzione, il 22 dicembre 2003 ancora mi dice: “il tempo delle decisione su un Kurdistan indipendente o meno non è ancora arrivato, troppe cose stanno ancora cambiando in Iraq. In questo momento, comunque sono al lavoro intellettuali e personalità indipendenti per promuovere un referendum attraverso il quale si possa esprimere la scelta della gente”.

  • Tra queste personalità spicca Sherko Bekas, il più noto poeta del Kurdistan, già ministro della cultura al suo rientro dopo l’esilio all’inizio degli anni Novanta.

Egli sostiene che, malgrado la caduta di Saddam, il Kurdistan continua a vivere come in un incubo “perché noi non siamo arrivati ancora alla nostra autodeterminazione, ciò vuol dire che quell’incubo c’è ancora. Potremo dire che quell’incubo è finito soltanto quando vivremo indipendenti sulla nostra terra… La nostra salvezza sta solo nella nostra indipendenza. Non c’è nulla che ci leghi a questo Paese né con alcuno dei governi iraqeni, dalla monarchia alla repubblica, fino ai baathisti arrivati a sterminare i kurdi.

Oltretutto l’Iraq di oggi è un caos, perciò se noi ci buttiamo dentro perderemo…

Noi, un gruppo di intellettuali, a giugno del 2003 abbiamo pensato un grande progetto e lo stiamo portando alla gente affinché lo conosca. Noi abbiamo intenzione di muoverci in modo pacifico, trasparente e civile per raccogliere migliaia e migliaia di firme. E in un futuro vicino poter portare sulle strade migliaia e migliaia di persone… L’autodeterminazione dei Kurdi deve essere una scelta proclamata dai Kurdi!” La posizione dei referendari, di apparente neutralità, di fatto spinge verso un Kurdistan come entità statuale indipendente anche incorporando i sentimenti diffusi tra la popolazione verso arabi e iraqeni: “indubbiamente altre risposte sono possibili oltre alla nostra, ma noi riteniamo questa la più importante ( Nota: cioè quella del referendum ).

Perché riguarda la questione della convivenza in Iraq, quell’Iraq che ha commesso l’Anfal contro i Kurdi e il massacro di Halabja: ecco perché moralmente, e per molte altre ragioni, non possiamo più vivere con loro. C’è una fascia di giovani che al momento della rivolta del 1991 aveva dieci anni, non hanno mai visto l’Iraq e non conoscono l’arabo: ormai non c’è più nulla da condividere con l’Iraq, se non le esperienze del passato….

L’Iraq è composto da due nazioni, non è una sola nazione, esiste una nazione che si chiama Kurdistan che è una nazione diversa dall’Iraq. (Sherko Bekas).